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Una lezione di lingua tedesca. 3


In quell’istante avrei pagato dieci lire un frammento di specchio, e le avrei pagate tanto più volontieri perchè ciò implicava la supposizione che le dovessi avere.

L’amabile maestrina ci chiese se volevamo incominciare sùbito la lezione. Vittorio mi consultò collo sguardo — a dir vero ci aspettava il ripetitore di fisica con un tema preparato sull’attrazione dei corpi celesti — ma qual corpo potevasi imaginare più celeste di quella ventenne giovinetta, fresca come il mattino e raggiante come un sorriso?

Attrazione per attrazione, Vittorio ed io non stemmo in forse. Cinque minuti dopo si sedeva tutti e tre attorno a un tavolino lungo un metro e largo sessanta centimetri.

Ella era la maggiore, noi toccavamo appena i diciotto anni — e vi domando cosa si fa, con cinquantasei anni in tre, attorno a un tavolino!

Credo che per quel giorno non abbiamo veduto altro che il cartone della grammatica — ma in compenso avevo osservato i bellissimi denti e la manina morbida di madamigella Wilhelmine.

Nei giorni che seguirono fu una gara tra Vittorio e me per arrivare i primi alla lezione; accadeva di correre trafelati ambidue per strade opposte e di batterci il naso sulla porta della casetta solitaria. — Allora si prendeva un’aria seria:

— Come hai anticipato!

— Anzi tu!

— Ti aspettavo.

— Ti cercai dovunque.

Sulle prime ella ci accoglieva gentilmente senza par-