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La mia vicina. | 117 |
Nel mio pensiero non potevo disgiungere l’immagine della mia vicina dal rispetto il più profondo.
La notte era avanzata quando presi sonno, ma dormii placidissimamente.
Alla mattina per tempo mi recai allo studio; la giornata mi parve lunga e mi parve più brutta che mai la signorina Giacobbe che vidi attraversare il magazzino con una foglia di geranio in petto... foglia che più tardi riconobbi alla bottoniera del giovane americano.
E così sia!
Pochi momenti prima di abbandonare lo studio, intanto che lisciavo colla manica il pelo del mio cappello, mi si avvicinò il signor P. P. Giacobbe con un sorriso soddisfatto e battendomi sulle spalle una larga mano profumata di vaniglia, esclamò:
— Dunque il bilancio è finito. Abbiamo duecentomila lire di vantaggio sull’anno passato. Le vostre mille e cinquecento stanno per diventare duemila e chi sa!... chi sa!...
Allegro come un pesce (una qualche domenica che mi trovo in libertà voglio verificare sulla Storia naturale di Buffon per qual motivo i pesci sono allegri) ringraziai il mio principale, posi la via fra le gambe e salii a quattro a quattro i non pochi scalini di casa mia.
Il gobbetto dell’abbaino cantava sfogato e cantava una canzoncina dolce dolce, patetica, sentimentale... Fosse l’ora, fosse la disposizione, quella canzoncina mi parve una musica celeste; incominciava con queste parole:
Ah! dillo se m’ami...