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La mia vicina. 113


— Per parte mia non posso nascondervi che un tenero sentimento... un’attrazione arcana.... Se babbo è contento....

— Vi farò una posizione che sarà l’invidia di tutte le italiane stabilite a Nuova-York.

Diavolo! pare che io sia stato prevenuto, pensai; e questa scoperta, lungi dallo sbigottirmi, mi sollevò un gran peso dallo stomaco. Da due ore m’era passata la voglia di diventare il genero del signor Giacobbe.

Ritornai delicatamente sui miei passi, in punta di piedi e col sorriso sulle labbra.

La serva mi domandò se ero già stanco di aspettare.

— No, carina, no; ho dimenticato un campionario che volevo mostrare al signor Giacobbe; del pepe rosso di Caienna prima qualità, ma tornerò più tardi, tornerò.

E guizzai fuori dell’uscio, scendendo balzelloni la scala come un innamorato che...

Oh! oh! Rodolfo, non è un anticipare troppo gli avvenimenti? Che diamine, il lettore capisce subito dove vuoi andare a finire; non hai scuola, non hai metodo, non sai tenere per ultimo il tuo razzo d’effetto!

Pazienza, mettiamoci in carreggiata.

A metà strada fra la mia abitazione e quella del signor Giacobbe c’era la trattoria dove ho l’abitudine di compiere le mie modeste refezioni, e non spiaccia alle suddette mie lettrici appassionate e platoniche, vi entrai per pranzare.