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102 | Novelle gaje |
Del frac non parliamo nemmeno, in pieno giorno, e a piedi; la carrozza non l’avevo (e non l’ho), il brougham era ridicolo nella mia posizione.
Rodolfo! Rodolfo! chi t’aiuta a levarti d’impaccio? Sarai forse costretto...
A questo punto interruppi il monologo e tesi l’orecchio perchè avevo udito sul ballatoio un leggero rumore di passi.
Anzi non solo tesi l’orecchio, ma cacciai fuori il capo per vedere se fosse mai qualche amico che mi capitasse sotto forma di provvidenza con un soprabito nuovo.
Era la mia vicina.
Sul ballatoio del quarto piano non c’era altro uscio che il suo, oltre il mio. L’avevo incontrata rare volte, non le avevo mai parlato e, preoccupato come ero di madamigella Giacobbe, non le concessi mai un pensiero.
Nel seguirla gradino per gradino, quando saliva le nostre lunghe scale, non m’era sfuggito certamente il suo piedino leggiadro e la curva flessuosa della persona ondeggiante sotto uno scialletto di lana nera. Ma santo Iddio, se si dovesse fare una dichiarazione a tutte le donne vezzose!
La mia vicina poi aveva un contegno modesto e riservatissimo; mi guizzava davanti come una caprioletta inseguita, e tanto nello scendere come nel salire misurava con un tatto così preciso il livello su cui alzare l’orlo candido della sua gonnella, e lo rialzava con una certa grazia piena di adorabili reticenze, e apriva così rapidamente l’uscio della sua