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parete, incollando l’orecchio. La voce di Théa, strana, velata, mormorava parole inintelligibili. Lydia avrebbe voluto sfondare la parete contro la quale si aggrappava colle manine, graffiandosi e ferendo la pelle delicata; avrebbe voluto vedere, ma non ebbe bisogno di questo. Per il suo orecchio avido, ogni rumore era una parola distintissima. In quel buio, i gemiti avevano sillabe, i sospiri stessi vestivano una forma. Nessuna realtà impudicamente ostentata poteva essere più terribile di quella realtà che si credeva al sicuro e che aveva gettato ogni velo.
A un tratto Lydia si staccò dalla parete girando su sè stessa, e cadde nelle braccia di Calmi, il quale la portò di peso in carrozza.
Era già sera, ed egli non l’aveva ancora abbandonata un istante.
— Grazie, Calmi: ella è buono, più buono di quanto avrei immaginato; ma è inutile...