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umoristici, con particolari grotteschi; e poi gli diceva la sua noia alle lezioni di piano, la sua smania per il ballo e per la corsa; il tripudio del primo viaggio, l’emozione della prima festa, e sua madre, e don Leopoldo, e Costanza, ed Eva, cose e persone che si affollavano dalla sua mente alle sue labbra, con una foga, una irresistibilità di confidenza, d’abbandono.
S’ella avesse potuto esaminare il sentimento che la trascinava verso Keptsky; se fosse stata capace di definirlo, avrebbe concluso che Keptsky era per lei il nido, il porto, la protezione, la felicità, l’oblio. Era arte, era religione, era amore, era tutto insieme quello che generalmente si trova poco per volta, che si sbocconcella nelle piccole soddisfazioni di tutti i giorni, perdendo in briciole la metà della sostanza.
Keptsky le si era presentato sul tramonto della sua giovinezza, come il finale grandioso di un’opera sciupata, il riassunto di tante