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occhi ostinatamente fissi sul divano, dove anche il bianco dell’abito a poco a poco scompariva nelle tenebre, e solo, punteggiato dal raggio di una stella, il ventaglio chinese della baronessa, a fiori rossi, si agitava lentamente, dolcemente, come sotto l’impulso di un languore voluttuoso.
Ma a furia di guardare, le palpebre di Lydia si abbassarono. Un torpore l’invadeva nel benessere di una posa comoda, colle gambe appoggiate fino al ginocchio sulla poltrona lunghissima, le spalle affondate nella imbottitura, tutte e due le braccia distese sui bracciuoli. Il corpo si addormentava, si dimenticava, e da questo sopore sfuggiva il cervello, libero, sempre più libero nella dolcezza delle tenebre.
Lydia sentiva veramente qualche cosa che si staccava da lei, volando, che le dava l’impressione vertiginosa del movimento nel riposo; la duplice, soave impressione di assistere con una parte riposante di sè stessa