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di rugiada cadente, un aliare di insetti cercanti il nido. E i pensieri turbinavano leggeri, audaci; venivano le larve, i fantasmi del passato; venivano i sogni, i desiderii del futuro; turbinavano, lievi nell’ombra, urtandosi, scostandosi, respinti dal divano alla poltrona, invisibili, eppure così sentiti che le membra trasalivano nel silenzio.
Da quella oscurità azzurra usciva, raggiante di luce propria, il volto di Keptsky.
Esse lo vedevano, nella sua calma di semidio, nella imponenza della sua altera bellezza; quella fronte elevata, luminosa; la linea della guancia di una purezza classica, il profilo nobile, il mento fermo e gentile, la bocca perfetta nell’immobilità, affascinante nel sorriso, e gli occhi colore di due cupi zaffiri. Per un fenomeno strano degli spiriti, non solo ognuna di esse sentiva la presenza di Keptsky, ma sentivano entrambe che l’altra pure la sentiva.
Dal fondo della poltrona, Lydia teneva gli