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Le piaghe dello scrofoloso e il delirio del beone le colpirono, ad un punto, gli occhi, l’odorato e l’udito.
Al capezzale di una bambina, dibattentesi fra la meningite e la tisi, ella credette di morire per davvero. Quella larva che non aveva più nulla di umano, che schiudeva le labbra solamente per gemere o per prendere bestialmente un cibo che prolungava le sue sofferenze; quell’avvilimento della creatura pensante nel trionfo crudele della materia; quel dissolversi spasmodico, mostruoso, di una persona fatta a sua immagine e somiglianza, a lei nata per la gioia, fu soverchia prova.
Ammalò. Stette cinque o sei giorni a letto, sofferente di tutte le malattie che aveva viste; sognando, la notte, i lunghi dormitorii dell’ospedale, coi muri squallidi, i lettini allineati e il grande crocifisso di legno dalle braccia allargate; immagine del dolore eterno in mezzo a quei dolori quotidianamente rinnovati.