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che sogliono popolare le esposizioni. Il titolo fa quello che impaurì i signori della giuria. Coll’innocente appellativo di Oziose o qualsiasi altro del genere, il gruppo sarebbe passato senza lode e senza infamia, inosservato forse. Ma si chiamava schiave bianche coll’evidente intenzione di oltrepassare il fine dell’arte, richiamando il pensiero sopra una questione d’ordine morale; e la commissione per le belle arti, presa così all’improvviso da una metafora che le metteva brutalmente dinanzi ciò che gli uomini sogliono relegare nelle loro memorie più nascoste e più gelose, si impennò, arrossì di tutte le debolezze passate, presenti e future, come se una mano violenta avesse strappato a quei signori l’ultimo velo del pudore. Cento ricordi lontani, dimenticati, soffocati, reietti nel cantuccio più vile dell’essere, come si cela la biancheria sudicia nel punto più buio della casa, dovettero sorgere nell’animo di quelle egregie persone. Cittadini, mariti, padri, essi non potevano