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Due mondi.
Conosco un paese che sta a quattro metri di livello sotto il mare, affondato dietro gli argini di un fiume dai ricchi affluenti le cui acque gonfiandosi lo inondano spesso e trasportando dall’una all’altra riva interi banchi di sabbia ne vanno mutando continuamente l’aspetto e la configurazione; malinconico paese perduto in mezzo a vaste campagne di grano sulle quali torreggiano cime di pioppi giganteschi appena mosse dall’aria greve. Paese triste che fu un tempo allegra città e che della caduta signoria conserva una specie di dignità pensosa sparsa nelle vie larghe dove l’erba verdeggia sulla soglia dei palazzi abbandonati, nelle piazze deserte, in certi viottoli oscuri mai battuti dal sole, dove pure rizza il fianco monumentale una vecchia bicocca trasformata in prigione e l’abside longobarda di una chiesuola coperta di musco.
Era appunto in una di queste vie, la più oscura, la più triste, la più romita, che sa-