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ipotenùsa, va! 255


— Mi lasci andare che ho fretta.

Il tacchettio degli zoccoli passò in quel momento attraverso la mente del filosofo come una canzone di scherno.

— Allora non porterai più gli zoccoli?

— Porterò quello che mi pare e piace.

— Ragioni col cervello di un infusorio.

— E la finisca di insultarmi, altrimenti le dirò che è un villano.

Questa volta egli credette proprio di commettere uno sproposito mentre ella salvandosi nelle profondità del corridoio continuava a gridare come un’ossessa. Tutto il suo passato di prudenza, di moderazione, di compatimento, gli insorse contro dandogli un tale sapore di amarezza che comprese in quell’istante di quanto sollievo possa essere il gesto ampio di uno schiaffo Ciac!

E così, all’improvviso, come sorgono talora non cercate le memorie più lontane, si risovvenne di certe studentesche battaglie nei tempi in cui stava alle prese coll’abborrita matematica; e una parola nella quale aveva condensato tutta la sua avversione, che era stata la sua invettiva maggiore per confondere un avversario, gli balenò dinanzi col tentante invito di una lama snudata. Le piume del cappello dell’Agata ondeggiavano ancora sotto