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244 ipotenùsa, va!


Alla seconda parola difficile l’Agata aveva preso un’aria di sussiego, come di persona offesa, brontolando:

— Allora si parla chiaro e non abusare di una povera ragazza che non ha avuto tempo di andare a scuola per mortificarla col suo latino. E se le calze sono bucate io non ne ho colpa, che non sono io che le porto, nè che le compero, nè che le faccio; Dio guardi, ci mancherebbe altro che dovessi anche sferruzzare a farle le calze, che del resto lei sarebbe capace di pretenderlo perchè i signori al giorno d’oggi non hanno più carità del prossimo e se c’è tanta anemia intorno, come dicono i dottori, che l’ho anch’io, è perchè i padroni ci fanno lavorare come bestie. Ci vuol altro che stare a tavolino a scrivere. Quello è un mestiere da nulla; dovrebbe essere nei miei panni; ma loro sono senza cuore tutti dal primo all’ultimo. Oh! verrà anche per loro il giorno!

Esterrefatto, Spiridione Tomei aveva seguito quello strano discorso, che, iniziato brontolando, si era a poco a poco alzato di tono fino a diventare una minaccia. E non capiva in qual modo avesse fatto l’Agata per passare così rapidamente dalla condizione di accusata a quella di accusatrice, girando la