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temperamento alieno dalla politica, chè tale era appunto quello di Spiridione Tomei.

Egli era vissuto fino allora così tranquillo accanto alla buona sorella, in un quartierino solitario rimasto incolume da un secolo nel centro della città, col Naviglio sotto le finestre e un giardinetto decrepito pieno di erbe parassite che si incappucciavano a primavera di un ridente padiglione di glicine sufficiente a dargli l’illusione del paradiso terrestre, perchè — era questo un canone fondamentale della filosofia di Spiridione Tomei — tutto ciò che ci rende felici non è che illusione. Egli si appoggiava anche per far valere la sua teoria all’autorità di un proverbio indiano il quale dice: "Checchè l’uomo faccia non potrà trasportare delle acque del Gange più che un vaso per volta". Dunque un ciuffo di erbe e una pianta di glicine moltiplicate nella fantasia fino a dargli la visione di parchi infiniti abbellivano a’ suoi occhi di saggio un vecchio appartamento privo di ogni moderna comodità, coi pavimenti di mattonelle rotte e le finestre che non chiudevano. È però vero che la sua buona Bettina aveva disteso lungo i vetri parecchie listerelle di cimosa avanzate dalla stoffa di un antico soprabito. Ed ora non c’era più la Bettina!...