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218 | decadi |
Il vecchio signore dà una occhiata di commiserazione al provinciale, un giovanottone bianco e roseo che sembra una mela appiola. Non avrebbe voluto continuare una conversazione della quale non gli importa nulla, e che non è nelle sue abitudini, ma siccome gli ha pestato un piede, si crede in obbligo di cortesia e soggiunge per fargli piacere:
— Il signore viene da lontano?
— Da Pizzighettone, per servirla.
— Pizzighettone?... Avevo un amico di questo paese. Povero Cattaneo, è morto.
— C’era infatti un Cattaneo che si portò qui cassiere, credo, o segretario in una Banca.
— Lo ha conosciuto, lei?
— Oh! non io, mio nonno!
Il vecchio signore rimane male, stringe le labbra e si liscia in silenzio i baffi napoleonici facendo la melanconica riflessione che una volta i giovinotti avevano maggior spirito. Giura in pari tempo che a teatro non lo pigliano più. È forse quella la sua Scala? la Scala de’ suoi trionfi e delle sue serate memorabili? Una musica che somiglia a dell’algebra per violino, cantanti che non cantano, sala noiosa piena di sconosciuti; neppure un volto noto a cercarlo colla lanterna; le signore poi così magre!...