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decadi 217


non lascia trasparire l’interno malcontento, ma sotto i baffi grigi spioventi alla Napoleone III, egli mormora: Ah! il mio Verdi! Ah! il mio Rossini!

Appena gli è concesso di muoversi, cioè quando cala il sipario, egli si affretta a andare in cerca del suo posto numerato e nella smania di potersi finalmente insediare pesta i piedi al suo vicino di poltrona.

— Pardon, signore, scusi.... Questi sedili sono così stretti.

Risponde l’altro:

— È il pubblico che li fa diventare stretti. Quanta gente! Un magnifico teatro.

— Sì, sì, — biascica il vecchio signore per compiacenza: ma in fondo non è molto soddisfatto. Aveva in mente una sala sfolgorante di luce e di occhi femminili, carica di elettrici sorrisi e di bianche spalle offerte al desiderio. Ora gli sembra che una nebbia veli ogni cosa in giro. Frega e rifrega col guanto la lente del suo canocchiale e guarda, meravigliato di non trovare nessuna bella donna. Non è invece l’opinione del vicino che esclama con enfasi ingenua:

— Franca la spesa di venire a Milano apposta solamente per lo spettacolo affascinante che offrono i palchi.