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212 decadi


La padrona di casa deve essere stata una gran bella donna; lo è ancora, un poco, e vorrebbe parerlo molto, acconciata con arte in una vestaglia color avorio stretta qua e là da nodi di velluto violetto; i capelli giudiziosamente conservati in una tinta di mezzo fra il castano e il bruno che si potrebbe anche credere naturale; un leggerissimo strato di minio sulle guancie, impercettibile, quasi un rossore rimasto di tempi lontani. Vedova di due mariti riconosciuti, e di qualche altro meno noto, la signora sta compiendo l’abile manovra marinaresca di un burchiello avariato che vuole finalmente mettersi a riposo in porto. Non frequenta più nè teatri nè balli; dichiara di amare molto la sua casa e gli amici fedeli, rappresentati per il momento da un amico unico ma prezioso: Giulio Sorisi.

Egli entra nel salotto col passo sicuro dell’abitudine e della confidenza. La cameriera in anticamera lo ha aiutato a togliersi il soprabito ed egli stira le braccia per mettere a posto i polsini.

— Un freddo cane!

— Buona sera, Giulio.

— Buona sera, Clotilde.

Sorisi si avvicina alla signora e le stringe la mano lunga e morbida, accuratissima, con