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204 | decadi |
plice, ridanciano, un po’ sensuale, che rialzandosi dal lungo servaggio della dominazione straniera riprendeva tutti i suoi diritti al tripudio ed alle feste, in quel primo carnevale di liberi scioglieva finalmente senza ritegni l’inno tradizionale al sabato grasso.
Non era più il caso dei grossi testoni in forma di zucca simboleggianti l’aborrito tedesco, maschera preferita negli anni decorsi a guisa di protesta e di sfogo; e neppure l’ingegnoso ravvicinamento di tre mascherine una vestita di bianco, l’altra di rosso, l’altra di verde per far balenare almeno un istante agli occhi degli oppressi la cara bandiera italiana, in barba alla polizia che non ci capiva nulla. Il carnevale del 1860 affacciandosi alla nuova vita aveva la spontaneità e l’irruenza dei giovani; voleva il piacere per il piacere.
I balconi sgargianti di drappi, carichi di donne ravvolte in bianchi veli per proteggere il volto dai coriandoli, accoglievano pure gruppi di ufficialetti francesi le cui uniformi rosse e oro spiccavano da lontano additandoli alla simpatia di tutto un popolo; neppure i «chasseurs de Vincennes» per quanto la loro divisa di un cupo azzurro filettata di giallo fosse meno brillante di quella dei compagni, sfuggivano alle ricerche patriotticamente ap-