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l'avventura di tre furbi 181

trasse un biglietto da cento e lo agitò nell’aria. Lo zio Titta credette di avere le traveggole e si appoggiò sulle braccia di Pietro e di Paolo non meno intontiti e rimminchioniti. Finalmente mormorò:

— Non capisco nulla.

— Ecco, — riprese il signore sorridendo colla sua inesauribile buona grazia, — io sono il socio dell’orefice al quale ella ha venduto i brillanti. Non mi ha visto in bottega? Non mi riconosce?...

Ah! sì. Quel sorriso fu un lampo nella mente ottenebrata del «Bisogna». Egli riconobbe il signore che ispezionava la vetrina e che gli aveva sorriso appunto così amabilmente.

— Devo dire anche che il proprietario del negozio sono io; il mio socio non vi mette che l’opera. Io lo lascio fare ma lo sorveglio.... capisce? Fu a questo modo che mi parve di accorgermi che egli si sbagliava nell’apprezzamento dei brillanti. Naturalmente non volli mortificarlo in loro presenza.... mi piace essere delicato; ma appena usciti loro abbiamo fatto insieme i conti e risultò precisamente quello che avevo sospettato, cioè che il valore reale di quei gioielli è di tremila trecento lire o poco meno. Da galantuomo mi affretto a portarle la differenza.