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180 | l'avventura di tre furbi |
in tempo a prendere un treno prima che sopraggiungesse la notte. Erano stanchi, avevano fame, ma al pari dei cavalli affrettavano il passo fiutando di lontano l’odore della stalla.
A un tratto un gentile signore, vestito con eleganza e dai modi urbanissimi esclamò alle loro spalle:
— Temevo di non riuscire a raggiungerli, che gamba! Prego, prego, abbiano la compiacenza di fermarsi un momento.
I tre contadini rimasero dubbiosi, presi subito da diffidenza; ma l’altro continuò con una amabilità che avrebbe sedotto una roccia:
— C’è stato un piccolo sbaglio, scusino, le tremila e cento novanta....
Lo zio Titta fece un salto da lepre:
— Che sbaglio! che sbaglio! Chi è lei? Noi non la conosciamo, ci lasci in pace.
— Sicuro, sicuro, — riprese il garbatissimo incognito, — lei ha pienamente ragione, ma anch’io voglio mettermi in pace colla mia coscienza. L’onestà innanzi tutto. C’è qualcuno che dice: bisogna essere furbi. Il mio motto è: bisogna essere onesti.
— Ma infine che cosa vuole?
— Niente altro che consegnarle queste cento lire, se permette.
Da una busta rettangolare lo sconosciuto