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l'avventura di tre furbi | 179 |
gnare degnamente l’invocazione, vide nella traiettoria del suo sguardo qualcuno che gli sorrideva benevolmente; era un signore che stava guardando i gioielli della vetrina, e parve al «Bisogna» che con quel sorriso tacitamente lo incoraggiasse.
Lunga fu la disputa, fermo l’orefice, cocciuti i villani; finalmente l’affare venne concluso per tremila cento novanta lire, più un gran sospiro del «Bisogna» che rimpiangeva le tremila e duecento offerte tanto tempo prima dall’orefice di Bergamo.
— Via, — dissero i due giovinotti ridiventati allegri alla vista dei bei bigliettoni, — quel che è stato è stato. Dieci lire non ci fanno nè più ricchi nè più poveri. Badate piuttosto a metter via bene il denaro.
Per questo lo zio Titta non aveva bisogno di consigli. Cacciò la somma nelle ampie tasche di un portafoglio che sembrava quello di un ministro, tolto l’unto e lo sdruscito del lungo uso, ed allogato il portafoglio nelle profondità interne della giacchetta lo andava ancora spianando colla mano per diminuire il troppo appariscente volume.
Si presero tutti e tre sotto braccio, lo zio Titta nel mezzo per salvaguardare il gruzzolo, e s’avviarono alla stazione sperando di fare