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176 l'avventura di tre furbi


— Ci inganna! — disse Pietro, — vuole derubarci.

— È forse d’accordo colla padrona, — soggiunse Paolo.

Lo zio Titta propose di sentirne un altro e l’altro fece il prezzo di tremila e cento ottanta.

Tornarono a casa coll’attitudine dimessa di cani bastonati, nè per un pezzo si parlò più di brillanti.

— Vi credete furbi, — disse una volta la padrona, — ma in questa faccenda la fate proprio da ignoranti. Invece di mettere a frutto il vostro capitaletto ve lo tenete nascosto nelle calze della Menica. Chi lo gode così?

Il «Bisogna» fu il primo ad afferrare la logica di tale ragionamento; forse perchè egli era vecchio sentiva maggiormente la necessità di non perder tempo e propose ancora la vendita.

— Per tremila e duecento? — gridò Pietro indignato.

— Ma se non valgono di più?

— Chi lo sa se non valgono di più!

— Allora facciamo una cosa. Andiamo a Milano. Là orefici ve ne sono in gran copia, la città è ricca, tutti portano brillanti, vedremo se si può vender meglio che a Bergamo.