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172 l'avventura di tre furbi


per rimettersi in tasca l’astuccio tutti furono d’accordo a protestare, così che egli trovandosi ad essere la minoranza si scusò facendo un breve discorso sulla sua qualità di capo della famiglia e sul suo affetto di zio.

— Del resto, — soggiunse, — non siamo tutti uniti d’amore e d’accordo? Quello che è dell’uno è pure dell’altro.

— Benissimo, — concluse Paolo, — e per ciò daremo l’astuccio in custodia alla mamma che stando in casa può meglio sorvegliarlo e che lo riporrà ben bene avvoltolato in un paio di calze in fondo al canterano.

Lo zio Titta si rassegnò; ma già subito all’indomani l’argomento fu ripreso e per tutti i giorni dovette essere quello il perno intorno al quale si aggiravano pensieri, parole, progetti, reticenze, piccole congiure occulte, piccole viltà. A nessuno era ancora venuto in mente che l’astuccio si dovesse restituire, tuttavia un vago timore che da un momento all’altro saltasse fuori il proprietario li teneva zitti, in attesa.

Qualche volta, lemme lemme, senza dare nell’occhio, Titta andava a zonzo per il paese a raccogliere notizie sui fatti del giorno; si spinse fino alla stazione dove pure s’avrebbe dovuto sapere qualche cosa, ma nulla mai trapelò