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l'avventura di tre furbi 169


— Un orefice, — soggiunse Paolo.

Ma l’istintiva diffidenza del contadino fece esclamare allo zio Titta:

— Adagio, adagio. Non andiamo adesso a propalare a tutti i nostri interessi. Bisogna riflettere prima di agire.

Così dicendo si pose in tasca l’astuccio.

— Ehi! dico, zio, — saltò su Paolo, — o veri o falsi questi gingilli sono miei.

— Perchè? — fece il «Bisogna» tranquillamente tirando la fune del vitello.

— Oh! bella, non li ho forse raccolti io?

— Tu?... Tu non ti muovevi neppure, nè tu nè tuo fratello, se non fossi stato io a mettervi sull’attenti.

— Però — interloquì Pietro — noi siamo stati i primi a vedere.

— Neanche questo lo puoi provare. Ho forse visto prima io, ma ero più lontano e non potevo correre.

— Ad ogni modo — borbottò Paolo in tono minaccioso — l’astuccio mi appartiene. Sono pronto a andare in giudizio se occorre.

— Non stiamo a litigare — concluse Titta — prima di sapere se si tratta di brillanti o di cocci di vetro. Del resto fidatevi a me; il fratello di vostro padre non vi vuol tradire.