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l'avventura di tre furbi 167


— Ih! che furia! È adesso che ti scaldi? — rispose Paolo tenendo sempre il pugno stretto.

Lo zio Titta non parlava. Battista, detto Titta, detto il «Bisogna», era in fama di uomo accorto. Il sopranome di Bisogna glielo avevano dato per una sua abitudine di cacciare questa parola in quasi tutti i discorsi, specialmente nella frase che ripeteva più di ogni altra quando era il caso di ammonire i suoi nipoti o magari sua cognata Menica che essendo rimasta vedova cadeva naturalmente sotto la sua protezione e direzione. La frase dunque era questa: Bisogna essere furbi! È d’uopo dire che l’esempio seguiva dappresso la predicazione e che per le trovate sempre abili dello zio Titta (abile non è precisamente sinonimo di corretto ma — diceva ancora lo zio Titta — non bisogna guardar troppo per il sottile se si vuole conservare la vista) la verità è che gli affari andavano abbastanza bene nella famigliuola di cui lo zio Titta era il capo riconosciuto.

Zitto, fermo, tenendo con una mano la fune a cui era attaccato il vitello, appoggiata l’altra sul fianco, tutta l’anima del vecchio furbo sembrava concentrata nel naso il quale, lungo, ricurvo, tagliente come un rostro, avido e frugatore come un becco, vigile come un