Pagina:Neera - La sottana del Diavolo, Milano, Treves, 1912.djvu/144

138 l'uomo dei palloni


Non avvezzo a lavorare di cervello, tutte quelle ipotesi lo stancavano assai. Gli era passata nel frattempo l’ora del desinare e vicino a tante ricchezze la scodella di minestra che gli preparava tutti i giorni il polentaio dirimpetto gli parve, per il momento, preferibile. Tornò a chiudere il tesoro nel portafoglio e se lo ripose in tasca. Lo estrasse però subito ancora pensando se non era meglio custodirlo in camera; ma nella camera non vi erano mobili e l’uscio stesso chiudeva così male che non c’era da fidarsi. Meglio la tasca.

Discese le scale tenendosi fermo il gabbano sul petto, stringendosi contro il muro se incontrava qualcuno. Trasalì addirittura quando sull’ultimo pianerottolo sentì posarsi una mano sulla spalla e una voce gridargli:

— Ohè, galantuomo!

Era Antonio, il lustrascarpe. Ma l’uomo dei palloni ne prese quasi paura e sgattaiolò prontamente.

— Ih! che fretta! Hai forse vinto un terno al lotto? — soggiunse Antonio, curvandosi sulla rampa della scala.

— Tsu.... Tsu.... sono cose da dire? Tsu.... tsu.... Vado a prendere la mia minestra.

Toccò l’ultimo gradino senza manco vederlo, attraversò la strada come una freccia e