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132 | l'uomo dei palloni |
un segreto e indistinto ma pure dolce compiacimento di tutta quella ressa che gli facevano intorno, sentendo che per due ore al giorno, dalle due alle quattro, egli assumeva l’importanza di una persona desiderata. Quegli occhioni lucenti di cupidigia, quelle manine tese, quelle vocette instancabili nel loro ritornello: «Comperami un pallone», anche se non sempre riuscivano a fargli vendere la sua mercanzia, lo circondavano di letizia e di vivacità. Alla soglia di quei bei giardini, sotto il sole di primavera, le vesticciuole bianche dei bimbi svolazzavano con agilità di farfalle; e i colori sgargianti che le nutrici portavano in giro pomposamente, le balze rosse dei loro abiti, i lunghi nastri, l’oro degli spilloni, insieme all’andatura lenta e molle, ai placidi sorrisi, alle ciarle, ai giuochi, lo mettevano in uno stato di dolce stupore come davanti a certi panorami giranti dove la coscienza della realtà svanisce nel barbaglio del sogno.
Aveva nel suo piccolo mondo diverse categorie di avventori. C’era il bimbo che otteneva un pallone subito appena chiesto; c’era invece la mamma o la bambinaia riottosa che si faceva tirare a lungo per la gonnella e non era che dopo una lunga scherma di domande e di ripulse, non senza qualche tentativo di