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un bel caso | 127 |
tarla pensando che alla fin fine si apparecchiava un aiuto per la vecchiaia.
La felicità della Luigia quando ebbe fra le mani un pargolo tutto a sua disposizione per le dodici ore del giorno ed anche per le dodici della notte fu qualche cosa di inaudito. Ella ne ringiovanì come per prodigio, fu vista a correre, la udirono cantare, e le venne una tale parlantina che le donne del vicinato a stento si potevano schermire dal sentirsi ripetere continuamente le meraviglie del piccino.
Già ella non lo chiamava mai altro che «mio figlio». Sembrava che queste due parole giacenti da tanti anni in fondo al suo cuore e sbocciate a guisa di semi tardivi volessero rifarsi del tempo perduto con una fioritura veemente di steli e di boccioli, di aggettivi ammirativi e di tenerezze iperboliche. Tutto ciò che l’amore più intenso si trae dietro di ardore affannoso, di cure gelose, di mirabili previdenze, di rinuncie, di dedizioni, di sacrifici, quella madre putativa tributò al frutto del suo lungo desiderio. Ella ebbe la soddisfazione di salvarlo per miracolo da un braciere dove era caduto e più tardi di guarirlo a furia di attenzioni da una scarlattina dichiarata mortale.