Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 89 — |
così confuso, così smarrito, che l’angoscia di Daria invece di calmarsi crebbe. Ed egli non aveva bisogno in quel momento in sensazioni affettuose. Venuto per compiere un dovere tristissimo si era armato dell’oltraggio fatto alla sorella ed era tale scudo da renderlo inaccessibile.
— Signor Ippolito — ella incominciò colla sua dolce voce, resa ancor più dolce dal terrore — che avvenne?
— Oh! nulla.... — balbettò lui, fatto cauto dalla presenza della domestica.
Daria se ne accorse:
— Ella voleva parlare con mio cugino nevvero? Entri, la prego; o Pierino o la zia....
Così dicendo aveva ammiccato alla servetta, che se ne andasse e tratto Ippolito in un cantuccio della corte, bandito il convenzionale ritegno, che troppo pesava alla sua gagliarda franchezza:
— C’è una disgrazia! — esclamò. — Io la sento.
Ippolito, muto, teneva costantemente gli occhi a terra.
— Me la dica, signor Ippolito, la prego; sono forte.
— Non è a lei che devo dirla.
— Perchè non a me? Mi crede.... indegna delle sue confidenze?