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zi; era sempre in ginocchia, per terra, colla fronte china sulle mani del fratello.

Ippolito, scuotendosi e tornando in se come uno che caduto fieramente riprende i sensi, vide quella non più fanciulla, ma donna, prostrata davanti a lui e si sentì invaso da una profonda compassione.

La rialzò, spingendola dolcemente sulla poltroncina e facendo uno sforzo supremo:

— Chi è? — disse: non altro.

In quella scena muta, terribilmente espressiva, si intendevano quasi senza parlare. Nella grande delicatezza del suo cuore Ippolito aveva evitato tutte le spiegazioni, tutti i dettagli inutili, che non avrebbero servito ad altro che a far crescere il rossore sulla fronte d’entrambi. Ma questa domanda breve, decisiva, egli non poteva ometterla: chi è?

Matilde esitò, e solamente dopo la seconda interrogazione rispose a voce bassa:

— Rodolfo Regaldi.

Anche allora Ippolito non fece interrogazione di sorta. Il come, il quando, il perchè erano questioni secondarie, che scomparivano davanti all’importanza enorme del fatto.

— Il peggio — soggiunse Matilde mordendo un lembo del suo scialle — è che egli non può sposarmi subito.