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za, abbandonandosi a tutte le violenze del suo temperamento nervoso.
Ma per lungo tempo Ippolito non diede segno di vita; accasciato colla fronte fra le mani sembrava impietrito dal dolore. Quando sollevò la faccia torse istintivamente gli sguardi dalla sorella; ella se ne accorse e riprese a singhiozzare più forte. Tutta la sua baldanza era dileguata.
— Perdonami, perdonami! — gemeva stringendosi a lui, sentendo in quel momento la propria debolezza.
Perdonarle! Non era di perdono ch’egli avrebbe voluto mostrarsi generoso. Non c’era nessuna ira in lui, nessun pensiero di vendetta. Era preso da un dolore immenso e senza nome.
Non le disse nulla, non le fece alcun rimprovero, non si lagnò, non maledì; ma il suo silenzio angoscioso parlava più che qualunque espressione. Un momento solo, nella fiera tempesta del suo animo, Ippolito vide passare come una meteora luminosa le due care visioni che egli amava, e allora una lagrima non vista cadde anche dai suoi occhi, bruciandogli le guancie.
— Ippolito, Ippolito, dimmi qualche cosa!
Era lei che voleva parlare; era lei che si faceva umile, dolce; era lei che pregava. Parole sconnesse uscirono dalle sue labbra miste ai singhioz-