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Era coperta da uno sciallo nero, che le nascondeva la faccia.
Ippolito le prese la mano e se la pose sotto il braccio — tremava leggermente.
— Le sere incominciano a farsi fredde — disse lei.
Lui non rispose: tanta audacia lo confondeva.
La domestica, che aveva udito le loro voci, si fece sulla porta con un lume in mano.
— Andate pure a letto: disse Ippolito.
Entrarono nel salottino, dove ardeva ancora la lucerna. Matilde si gettò in una poltroncina, sempre ravvolta nel suo scialle, col volto sprofondato sul petto, immobile.
Ippolito fece qualche passo intorno al tavolo, si fermò, tentò due o tre volte di parlare, ma sentiva quel nodo nella strozza; finalmente prese coraggio dal suo stesso dovere, sedette accanto alla sorella e con accento dolce, con tenerezza di padre mista all’indulgenza d’un amico:
— Eri sola in giardino? — chiese.
Un lungo silenzio precedette la risposta di Matilde, che non fu poi una risposta.
— Che te ne importa?
— Dimmi qualunque cosa, Matilde, ma non chiedere che cosa mi importa di te. Ho io bisogno di ripetere che ti considero, più che sorella,