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monti, che cinge l’orizzonte dietro al cimitero, gli parve venisse da quello spazio di cielo una più ampia speranza; si sentiva quasi felice.

Giunto alla sua casetta, chiese della sorella; Matilde non c’era.

Non poteva essere dai Regaldi, perchè la zia e la nipote dovevano appunto quella sera assentarsi, però il caso non era tanto strano da sorprendere Ippolito; egli pensò alla signora Luigia, o a qualche altra vicina, e siccome aveva del lavoro d’ufficio molto urgente, accese la lucernetta, e si pose a scrivere.

Vicino a lui due figure di donna gli sorridevano; quelle due figure che lo accompagnavano sempre, che gli parlavano, l’una colla dolcezza dei ricordi, l’altra colla soavità della speranza. E vedeva il serio profilo della madre allontanarsi tratto tratto, quasi per lasciarlo più solo nell’ebbrezza del suo casto amore, e sentiva due labbra innocenti rispondere al bacio, che gli tremava sulle labbra.

— La signorina non è ancora rientrata; disse affacciandosi all’uscio la vecchia domestica.

Ippolito arrossì, confuso di essersi lasciato cogliere in un momento di debolezza.

— Non è andata dalla signora Luigina?