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volta un serraglio di belve; una si chiamava leone e faceva il forte, colla criniera arricciata, l'occhio ardito, il ruggito potente; un’altra la dicevano il leopardo, molto elegante, molto ben vestito; l'orso sembrava un filosofo, serio e grave, alieno da ogni debolezza; un grazioso scimmiotto poi, aveva l’aria di dominare la compagnia. Ebbene, erano tutti educati in modo inappuntabile, si rizzavano sulle zampe di dietro come ballerini, si inchinavano su quelle davanti salutando il pubblico come gentiluomini. A un tratto saltò imprudentemente nella gabbia una bella colomba bianca e i quattro gentiluomini per farle la corte se la sbranarono in un minuto. Tutte bestie! Tutte bestie! Tutte bestie! Ah! non sono altro che bestie.

La zitella terminando il suo apologo scuoteva violentemente la testa, appoggiando su quel sostantivo che essa dedicava al sesso nemico, come il riassunto di una lunga esperienza e di un profondo disprezzo.

Ma l’effetto fu diverso da quello che lei voleva.

Dalia, sorridendo a quel concetto generale della bestialità umana, si chinò verso Ippolito:

— Fortunatamente vi è qualchè eccezione alla regola.