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Tornava dallo studio tranquillo, soddisfatto dei compiuti doveri, pronto ad accettarne degli altri, a prendersi per lui la parte brutta e materiale dell’esistenza, per lasciare sua sorella nelle dolcezze e negli agi. Egli faceva questo con tanta naturalezza, senza ostentazione di sacrificio, si faceva così poco valere, che a nessuno veniva in mente, potessero camminare le cose in modo diverso. Pareva giustizia, che egli dovesse lavorare per due e che ella non avesse altra missione sulla terra, fuorchè quella di vestirsi con eleganza e di sedurre colla sua grazia.
Si mormorava anzi in paese; si diceva che Ippolito era un egoista, che quando si ha una sorella giovane e bellina non bisogna tenerla fra quattro mura a morir di noia; che egli la sacrificava a’ suoi gusti d’orso; che facendo così le chiudeva la via a un matrimonio brillante com’essa lo avrebbe meritato.
Ma egli non sapeva nulla di queste ciarle.
Aveva conosciuto abbastanza la gente, che lo circondava, per sapere, che in tutto il borgo non avrebbe trovato un amico; e perciò viveva ritirato, nella rassegnazione di un destino oscuro, pensando, che gli eroi non sono soltanto quelli che versano il sangue e che spargono intorno insieme al terrore il rimbombo del loro nome. An-