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fettamente — casa per casa, persona per persona.

La Tatta diceva appunto, che Rodolfo con quell’osso nella, schiena, finirebbe un bel giorno a trovarsi sulla paglia, come era capitato a Pellegrino Michetta di Pomponesco.

Il discorso della vecchia non era allegro e la giornata era triste addirittura.

Sui vestri delle finestre colava la pioggia in lunghe righe sudicie, penetrando dalle fessure fin dentro alla stanza giù giù per il muro, formando una macchia umida sul pavimento. Le ombre della sera si addensavano negli angoli, smorzavano il luccichio delle vecchie cornici dorate, coprivano i mobili di un velo — tutti indistintamente — lo stipo intarsiato, le tende delle finestre di percallo bianco, il divanuccio bigio, il tavolo rotondo di noce, sul quale una violaciocca dentro a un bicchier d’acqua, metteva una nota gaia di primavera; nota stridente su quel fondo cupo, a cui meglio rispondeva il monotono tic tac di un cucù enorme addossato alla parete, in mezzo alle due finestre.

— Quando non si è ricchi bisogna lavorare. Il Signore dice: aiutati che ti aiuterò. E se non ci aiutiamo da noi stessi è inutile sperare appoggio dagli altri.

Le parole della Tatta risuonavano lugubri an-