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Il nomignolo di Tatta, inventato da Piero, aveva cancellato la memoria del suo nome; non solo i nipoti, tutto il paese la chiamava così — e così la chiamava Daria, un’orfanella, una cugina, che il padre Regaldi aveva accolto sotto il suo tetto e allevata insieme ai propri figli.

Al contrario di quello che accade per solito ai parenti poveri, Daria esercitava una specie di potere morale su tutta la famiglia. Era amata e temuta; e questo duplice sentimento ella lo ispirava col suo ingegno e col suo cuore — era inoltre un carattere forte. Il tisico, che nutriva per lei una specie di venerazione, l’aveva rammentata con dolore nei suoi ultimi momenti, lasciandola sola fra due ragazzi che non potevano comprenderla e una vecchia zitella piena di pregiudizi, che soffocava le bontà dell’animo sotto una scorza aspra e volgare.

Tuttavia fra Daria e la Tatta correvano buoni rapporti ed anche una certa simpatia latente, fondata sulla schiettezza di entrambe.

Quando avevano qualche osservazione da farsi la dicevano francamente, senza reticenze, curando poco se la frase fosse troppo viva o la parola poco accademica. Forse Daria non sarebbe stata aspra, ma lo era diventata un pochino nei continui rapporti colla zia; e però questa donna, che