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nito di trine e tutto l'occorrente per il battesimo, che si doveva fare alla mattina per tempo.

— Ora non ti occorre nulla? —- domandò all’ammalata.

— Nulla; sto bene.

— Allora vado a mettere in letto la Lena.

Daria uscì, e quasi subito comparve la servetta dandosi l'aria importante di chi reca grandi notizie.

Si avvicinò in punta di piedi e consegnò una lettera a Matilde, le cui pallide guancie avvamparono di subitaneo ardore.

Vedendo l'agitazione della sua signora la servetta pensò che aveva forse fatto male a darle quella lettera, ma era troppo tardi. Matilde, ritta a sedere sul letto, coll’occhio in fiamme e il petto ansante divorava lo scritto; gettò un grido altissimo, poi balzò a terra.

La ragazza spaventata cercò di trattenerla.

— I miei vestiti — gridò Matilde — dammi i vestiti; devo uscire, devo andare, presto. Purchè sia ancora in tempo!

— Signora, per carità...

— I miei vestiti! Dammeli. Questo matrimonio non si deve fare. Non voglio! Non voglio!

Matilde armeggiava colle braccia prendendo e mettendosi addosso quello che le capitava, esaltata, furente.