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— È di sopra; forse ripassa gli abitini di Lena.
Rodolfo fece un sogghigno incredulo, ma non aggiunse altro.
La tavola era pronta; la Tatta venne dalla cucina colla zuppiera in mano e colla Lena attaccata alle gonne. Daria le corse incontro, prese la piccina e la pose sul suo piccolo trono davanti al piattino della pappa.
La vecchia girò intorno gli occhi.
— Vado a chiamarla — disse Daria rispondendo a quella muta interrogazione.
E intanto che Rodolfo e la Tatta sedevano al desco, ella volò su per le scale fino all’uscio della camera di Matilde.
La chiamò due o tre volte, invano, premette la molla, l’uscio era aperto, entrò.
Matilde era seduta nel corsello colla faccia sprofondata in mezzo ai guanciali; aveva i capelli scarmigliati, le vesti in disordine, tutte le apparenze di essersi abbandonata ad uno di quegli eccessi nervosi che in lei erano frequenti.
Sollevò la testa all’udire i passi di Daria e, sgarbatamente, senza frenare l’impulso di una viva contrarietà gridò subito:
— Cosa vieni a fare qui? Va via.