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sando a tante cose del passato e del presente, affrontando coraggiosa i misteri del futuro, che si si presentava torbido e pieno di guai.

Partiti gli ospiti, la Tatta venne a raggiungerla.

— Finalmente tutto è finito; sarà poi quel che sarà.

— Perchè dici così, zia? Speriamo.

— Non è frutto della mia età cotesto; ben sta a te, lo sperare... chi vive sperando muore cantando.

A Daria non sfuggì l’allusione.

— Paria piano zia; la signora Luigina si è addormentata appena adesso.

— Un’altra, quella lì!

Era sarcastica, pungente; diede un’occhiata all’amica coricata nel suo letto e sembrandole poco coperta si levò uno scialle, che aveva sulle spalle e glielo buttò sopra.

— Aspetta che vado a prendere una coltre.

Senza rispondere, la Tatta entrò bruscamente nell’argomento che le stava a cuore:

— Ed ora cosa farete? — chiese a bruciapelo, fissando nella fanciulla i suoi occhi arditi, neri come carbonchi.

Daria abbassò il capo.