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di lire. Matilde sola lo sapeva, egli non ne aveva parlato con nessuno, nemmeno con Daria, quantunque una profonda malinconia lo struggesse tutte le volte, che la fanciulla fissava in lui quei bellissimi occhi chiedenti amore — ed egli abbassava i proprî quasi annientandosi nell’angoscia estrema della sua impotenza.
Apparteneva, per sua sventura, a quella classe di persone soverchiamente delicate che, per legge di contrasto, sembrano tante volte mancanti di cuore; piuttosto che alimentare in lei una speranza lontana e forse impossibile a realizzarsi, egli preferiva mostrarsi freddo, lasciandole piena libertà d’azione e di destini. Teneva per sè la parte più ingrata, ma più nobile: soffrire tacendo.
Ai primi di dicembre, un giovedì mattina, Rodolfo e Matilde si sposarono senza pompa e senza fasto, seguiti dai soli parenti e dalla signora Luigina, che spargeva lagrime silenziose in un ampio moccichino di giaconetto, orlato a giorno, insaldato e ricamato in tutti e quattro gli angoli, con dei salici piangenti.
Per fare da testimonio in chiesa era venuto Pierino, che da un mese circa si trovava a Milano impiegato in una casa di commercio.