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sua poltroncina e dell’uncinetto che almeno le avrebbe fatto passare il tempo.
Nella politica si riscaldarono, qual più qual meno, secondo i temperamenti. Il pletorico Merelli gridava come un ossesso; gli veniva dietro il dottorone nervoso ed entusiasta; più calmo Alberto, quantunque allegrissimo, e Toniolo quasi indifferente, approvando col capo ciò che dicevano gli altri, i pollici nei taschini, l’occhio vagante. Ma tutti insieme riempivano la stanza, con le loro persone massicce, la voce alta, gli scarponi che si agitavano sotto il tavolino, il fumo dei sigari che s’innalzava, addensandosi sempre più.
Il volto di Alberto, sul quale Marta teneva sempre gli sguardi, scompariva tra le spalle poderose di Merelli e il torace ampio, squilibrato del dottorone; ella lo scorgeva come un punto luminoso, velato leggermente dal fumo, e ne raccoglieva ogni parola, ne seguiva ogni gesto, pascendosi di un’occhiata che cadesse dalla sua parte, raccogliendo le briciole dello spirito e della cordialità che Alberto distribuiva agli amici.