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bianchi che si perdevano indefinitamente da lungi, sotto l’ombrello delle robinie. Il terreno leggermente ondulato univa la pianura ai monti, i quali si ripiegavano su di essa, al confine, a guisa di una legatura che stringe la perla. In giro, fin dove l’occhio scorreva, una pace di campi ubertosi, di radi e lindi casolari, di mulini giranti sopra ruscelli dalle acque cristalline. Un asinello sul bianco dei sentieri, una mucca nel verde dei prati e al di sopra il cielo soleggiato.

Quante cose voleva chiedere Marta, guardando l’interno della carrozza rimessa a nuovo in onor suo, con una bella stoffa di color turchino, i sedili imbottiti di fresco, il tappeto a rose! I suoi occhi, girando sul cocchiere campagnuolo che, a casa, doveva disimpegnare altre funzioni, si arrestarono sul cavallo.

— Come si chiama? È bello nevvero? Io non ho mai posseduto cavalli e non me ne intendo affatto.

— Anzitutto è una cavalla — rispose Alberto allegramente — si chiama Bigetta, non vanta

NEERA. 2