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— mettiamo una ragazza che abbia passato otto, dieci anni della sua vita, divisa fra questi due pensieri che sono il fondamento della nostra educazione: l’onestà e l’amore. Vuol amare, primo perchè è il suo istinto, poi perchè trova scritto e sente ripetere che l’amore è la massima delle felicità, che la donna è creata per l’amore, ecc. La religione stessa, più castamente, le parla però di amore e fa anzi dell’amore un sacramento. Vuol essere onesta, di quella onestà tutta femminile che è il pudore, la riserbatezza, la sottomissione; onestà che l’uomo non conosce, che è stata inventata unicamente per la donna e che la porta a fuggire con orrore tutto ciò che ha l’apparenza di una colpa. Che fa la ragazza? Ella riunisce le due aspirazioni, i due punti principali del suo catechismo, e dall’unione di due cose ben reali ne esce quel non so che di incorporeo, di vaporoso, di sublime e di ridicolo insieme che si chiama appunto l’ideale.

— Ma...

— Abbi pazienza mamma. Già non si parla