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Per farla parlare, la signora Oldofredi si interessò alle nuove relazioni di sua figlia; ebbe così la descrizione dei coniugi Merelli, di Toniolo, del dottorone. A sua volta le narrò degli amici di città, dei matrimoni fatti o da farsi. Disse di una loro cugina che voleva sposare per forza un sottotenente, che i parenti non acconsentivano, che d’altra parte non vi era neppure la dote militare, che l’ufficialetto pazzo d’amore minacciava di togliersi la vita e che lei, la ragazza, sognava combinazioni incredibili per riunire la somma; l’ultima trovata era di farsi attrice, andare in America...
Marta ascoltava in silenzio.
— Teste esaltate — concluse la signora Oldofredi, accomodandosi il fiocco della sciarpa. — I buoni matrimoni sono quelli combinati dalla ragione. Io, vedi, avevo diciotto anni quando conobbi tuo padre. Non ne ero innamorata proprio niente. Veniva in casa nostra due volte alla settimana a giuocare al sette e mezzo; si usava molto allora. Mi par di vederlo: entrava duro