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pigolavano le rondini oramai lontane; solo il freddo passero saltellando sui rami denudati, salmeggiava la vanità di tutte le cose.

E Marta passava col suo lieve fardello, creatrice inconsapevole in mezzo alla natura che moriva, sentendosi penetrare nell’anima una dolce e tranquilla malinconia.

Sui lembi del cielo errava il suo sguardo, così come errava la sua mente perduta nei ricordi, vaneggiando dietro il filo fantasioso che riunisce una nuvola al colore di un abito, al profilo di un volto conosciuto, ad una iniziale; per cui rinascono all’improvviso memorie disparate, e scene e detti; e si riodono suoni di voce dimenticati.

Ella ricordava un salottino parato con una stoffa a grandi fiori sanguigni, con certi divanucci bassi di una forma affatto speciale, con un velario che mascherava il soffitto e sembrava proteggere quel nido elegante dai contatti plebei. Ricordava sopratutto un trespolo, poggiato in un canto, sul quale bruciava un qualche cosa di