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Quì — pensava Marta — quì è la giovinezza d’Alberto, i suoi entusiasmi, i suoi palpiti, i suoi ardori, i baci che io aspetto invano.

Afferrava le lettere febbrilmente, volendo leggere subito, stentando a mettere insieme le pagine, impazientandosi per le frequenti lacune. Non pensò neppure un istante a portarle a suo marito; al contrario, chiuse l’uscio per non essere disturbata, e sedendosi sopra un mucchio di panni incominciò a fare lo spoglio per ordine, un ordine relativo perchè mancavano quasi tutte le date. La firma invece c’era intera: Elvira. Non fu più possibile neppure il dubbio sulla persona a cui erano indirizzate: fin dalla seconda lettera il nome d’Alberto era scritto e ripetuto con una compiacenza raffinata, con una calligrafia migliore, quasi che su quel nome la mano inquieta si fosse arrestata per prolungare la dolcezza di scriverlo.

Un’altra lettera, più fresca, chiusa ancora nella sua busta, col suggello rotto, ma intelligibile negli arabeschi di un piccolo stemma; la carta