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di pelle, la bocca assetata, arida, le braccia aperte disperatamente.
Incapace a reggersi, piegava il capo sopra un guanciale, su una spalliera di poltrona, su tutto ciò che poteva darle l’illusione di una carezza. Perduta nelle immagini d’amore scioglieva i capelli, e, attorcigliandoseli sul volto, ne aspirava l’aroma giovanile, gemendo il proprio nome «Marta, Marta!», che la notte raccoglieva e agli echi deserti della campagna ripeteva «Marta, Marta!»
Il tempo passava ancora, finchè l’eccitazione passando, la lasciava sfinita, con le membra rotte, gli occhi pesti e vacillanti. Tuttavia non andava a letto. Aspettava.
Alberto la trovava quasi sempre distesa sul divano, pallida come cera, inerte. E la rimproverava; le diceva: «Dovevi coricarti, dovevi dormire.»
Ella non rispondeva nulla. Barcollante terminava di svestirsi, con dei brividi nelle ossa, e si cacciava sotto le lenzuola. Ma quando suo