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Ma invece di approfittare delle sue gaie lezioni io mi facevo più triste e divoravo solitaria la gelosia che mi rodeva.
Tutte le sere, nei bei dopopranzo di maggio, Aurora appoggiata al braccio di suo marito percorreva i viali del giardino. Le loro figure leggiadre, strette insieme in un colloquio appassionato, si perdevano sotto i boschetti; la veste bianca di Aurora fluttuava tra i salici e le magnolie e si udivano gli scoppi argentini della sua voce come trilli d’allodoletta in amore.
Mi dimenticavano allora.
E quando tornavano indietro, vedendomi ancora seria e taciturna sulla soglia di casa:
— Che fai, mi dicevano: perchè non giuochi?
Non avevo voglia di giuocare. Io volevo essere felice come loro e non potevo.
Durante i caldi mesi dell’estate, Aurora passava quasi tutto il giorno sdraiata in una poltrona; si sentiva poco bene, era pallida, sofferente. Il babbo le stava vicino per delle ore, contemplandola; egli le prendeva le belle braccia nude e si divertiva a numerare i cerchi d’oro de’ suoi braccialetti; quando aveva finito ricominciava. Poi dicevano delle parole a bassa voce, lui sorrideva lei scuoteva il capo. Quando si accorgevano della