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delle sue eleganze, di foggiarmi sul suo modello cara e gentile — ma si stancò presto perchè nulla la sosteneva nell’ardua impresa, nè un forte amore, nè la docilità mia. Io ero, è duopo lo confessi un rozzo macigno immobile al suo posto; ma pure il cuore batteva dentro il mio petto meschino — sentivo anch’io il bisogno prepotente d’amare, sopratutto di essere amata, ma mi mancava una via di comunicazione fra i sentimenti e le parole. Ebbi la peggiore di tutte le disgrazie, quella di rimanere presto senza mamma, e in dodici anni di libere scorrerie come pianta selvaggia cro cresciuta irta di rovi e di asprezze. Se c’era qualche cosa di buono in me stava sepolto tanto in fondo e lo circondava sì dura scorza che al di fuori non ne traspariva nulla.
Il confronto giornaliero con Aurora mi nuoceva anche presso il babbo. Senza perdermi l’affetto, egli non poteva a meno di restare malamente impressionato dal mio poco garbo.
— Dora, disse un giorno a sua moglie, perchè non insegni a Paolina il tuo portamento, il tuo modo di camminare e di muoverti?
Lei alzò le spalle con un attuccio pieno di adorabile civetteria e prendendomi le mani esclamò:
— Andiamo dunque, signorina, imparate. Uno, due, tre — un bell’inchino.